di Paolo Rada

Mai parola fu ed è tanto abusata quanto il lemma terrorismo. Dovrebbe essere buon gusto prima di pontificare sul terrorismo, sia esso islamico oggi, nero o rosso ieri, capire se è possibile collocare questa parola all’interno di un significato univoco, o quanto meno accettato da tutti.
Innanzitutto dobbiamo affermare che non si può utilizzare l’epiteto terrorista quale insulto, onde screditare determinate organizzazioni politico-militari che hanno caratteristiche patriottiche, o addirittura parafrasando l’ex presidente americano Ronald Reagan riferendosi ai contras nicaraguensi, li apostrofava con il titolo di “combattenti per la libertà”, freedom fighters.
Emblematico è il caso dei mujahddin afghani (in particolare i talebani, ma non solo) i quali vennero prima definiti anch’essi combattenti per la libertà, per poi venire, una volta al potere definiti integralisti, oscurantisti ecc. e poi essere chiamati, una volta perso il potere e attuate tutta una serie di operazioni militari (uguali per efferatezza a quelle compiute negli anni ’80) contro il legittimo governo afghano in carica per riconquistare il potere stesso, appannaggio ora di un governo filo-occidentale quali terroristi.
Questi piccoli esempi facenti riferimento a luoghi esotici potrebbero forse indurre il lettore a credere che invece per quanto riguarda forme politico-militari proprie dell’Europa il significato della parola terrorismo e della sua utilizzabilità sia invece univoco e scevro di incomprensioni… Mai illusione fu più peregrina! Citeremo solamente due esempi tratti dalla storia della nostra patria: il Risorgimento e la guerra civile che si svolse in Italia fra il 1943 e il 1945.
Non è un fatto sconosciuto che i maggiori personaggi che posero le basi del Risorgimento italiano, Garibaldi e Mazzini, venivano definiti quali terroristi, banditi cospiratori dai Regimi che allora erano presenti in Italia: per la polizia politica del Regno Lombardo-Veneto o dello stato del vaticano Mazzini e Garibaldi erano due terroristi, ricercati, due briganti da mettere ai ferri, alle catene.
Per tutta la storia patria (a parte pochissime eccezioni) una volta che l’Italia divenne una nazione grazie alle conquiste militari dello stato piemontese, coadiuvato in quest’opera dalle organizzazioni politico-militari facenti capo appunto a Mazzini e Garibaldi, ecco che ai nostri due furono e sono dedicate piazze, scuole, vie ecc.
Questi ricevono oggi tributo di una sorta di amore con l’epiteto di padri della patria. Ipotizziamo che le rivolte intraprese da costoro e le guerre svolte dallo stato piemontese contro il Lombardo-Veneto e le varie forme statuali preunitarie non fossero state corroborate dal successo e che l’Unità d’Italia non avesse avuto luogo e/o avesse assunto altre forme. Magari i protagonisti sarebbero stati altri soggetti mi e vi chiedo come sarebbero stati definiti i mille garibaldini, Mazzini, Garibaldi, Pisacane?
La risposta la si può facilmente intuire: essi sarebbero stati accompagnati nel corso della loro vita terrena e post-mortem, assieme alle organizzazioni di cui erano a capo (ad es. Giovane Italia per quanto riguarda Mazzini) quali banditi, terroristi promotori di organizzazioni terroristiche.
Analogo discorso, non cambiano le coordinate spaziali, ma solo quelle temporali per quanto concerne la guerra civile che si svolse nelle regioni dell’Italia settentrionale negli anni che andarono dal 1943 al 1945: basta leggere i manifesti, i bandi di reclutamento riguardanti le classi doventi svolgere il servizio militare, o i moniti che le autorità statali della R.S.I. con fare intimidatorio paternalistico esternavano nei confronti del popolo per trovare le dizioni, l’epiteto di “banditi”, ”terroristi”, ”criminali al servizio degli invasori” nei confronti dei partigiani, i quali invece si consideravano patrioti, ”ribelli della montagna“ in lotta contro il dispotismo nazifascista.
Invece i partigiani attribuivano caratteristiche ”criminal-genocide-terroristiche” ai soldati della RSI e ai loro alleati germanici. Come tutti sappiamo la Seconda Guerra Mondiale fu vinta dalla coalizione delle democrazie alleate al comunismo sovietico e dunque i perdenti furono i fascisti e i tedeschi i quali furono omaggiati, una volta finita la guerra, dalla storiografia ufficiale dell’epiteto di terroristi criminali ecc. mentre invece ai partigiani, alla resistenza furono intitolate scuole, piazze, vie … Ripetiamo anche per questo evento storico lo stesso identico trastullo intellettuale utilizzato per quanto concerneva il Risorgimento: se avessero vinto i fascisti e i loro alleati germanici la Seconda Guerra Mondiale come sarebbero stati definiti i vari comandanti militari della varie Brigate Partigiane? Come sarebbero stati tratteggiate le loro azioni nei libri di storia? Essi con facilità avrebbero subìto il crisma di terroristi al servizio della coalizione anglo-americana-sovietica …
Dunque: esiste un significato univoco alla parola terrorismo? Possiamo rispondere in modo chiaro, limpido inequivocabile a questa domanda? La risposta non può essere, secondo noi, che negativa stante l’utilizzo politico che ne viene fatto attualmente: chiunque assurga al rango di nemico politico, viene etichettato con questa parola.
Essa viene usata, forse è meglio dire abusata da tutti gli stati moderni per delegittimare, in certi casi altre forme statuali (es. certi stati vengono definiti terroristi), per puntare l’indice contro lotte di liberazione nazionale, delegittimare forme di resistenza politico-militare, o addirittura per criminalizzare l’avversario politico che diviene così terrorista, criminale passibile di eliminazione politica: a lui è tolta la patente di avversario politico e viene attribuita la casacca di criminale con cui non si tratta né si discute.
Cerchiamo, noi dunque, di dare una risposta alla domanda: cos’è il terrorismo? A chi può essere attribuita questa definizione?
L’epiteto terrorista dovrebbe essere applicato a quelle organizzazioni politico-miltari che in tempo di pace compiono azioni violente contro l’autorità dello stato in cui si trovano o contro addirittura altre nazioni, e applicato in tempo di guerra a quelle organizzazioni politico-militari non indossanti una divisa e i cui capi spesso sono sconosciuti, non visibili.
Il terrorista, secondo la classica definizione che si dava a questo termine prima del secondo conflitto mondiale, è colui il quale colpisce, in periodo di guerra obiettivi militari e molto spesso anche civili non indossando una divisa riconosciuta dagli stati combattenti, e non facente parte di un esercito regolare. Il terrorista compie queste azioni molto spesso coadiuvato dai servizi di intelligence di uno degli stati combattenti: egli può essere un abitante di zone dove vi sia un conflitto (si trova nella linea del fronte o all’interno della nazione nemica) o addirittura essere infiltrato dall’esercito avversario oltre le linee.
In periodo di pace, magari con forti tensioni sociali il terrorista si comporterà nello stesso identico modo: colpirà obiettivi militari e civili dello stato in cui si trova, arrivando magari attraverso queste sue azioni, a conquistare determinate porzioni di territorio: emblematico è il caso del Nord della Siria, della città di Raqqa e sino a circa un mese di Aleppo e del nord dell’Iraq…
Vediamo come la presa ad esempio di determinati territori verrà considerata, chiamata “liberazione” dai sostenitori dei terroristi stessi o invece “occupazione da parte dello stato che vede sottratte alla sua giurisdizione parti di territorio.
E’ facile, dunque, capire come sia quasi impossibile arrivare ad una definizione univoca della parola terrorismo e terrorista: qual è il confine che divide l’azione terroristica dall’azione resistente?
Vi è differenza fra terrorismo e guerriglia?
Sono essi due sinonimi?
Può, una parte di popolazione, sempre minoritaria compiere azioni violente contro il proprio stato?
Può una parte di popolazione, occupata da un esercito straniero compiere azioni armate contro questo esercito stesso? (1) E’ molto difficile se non impossibile rispondere a queste domande… possiamo solo, concludendo tratteggiare, come esemplificazione paradigmatica, tre diversi significati (naturalmente ve ne sono altri) (2) che vengono abitualmente usati per quanto riguarda la parola terrorismo.
Possiamo dire, che secondo un’ interpretazione restrittiva, la quale pone una distinzione fra guerriglia (legittima) e terrorismo (illegittimo) l’uniche azioni che vengono definite terroriste risultano essere, quegli atti delittuosi compiuti contro i civili sia in tempo di pace che in tempo di guerra… Secondo questa visione una minoranza ha il diritto di compiere azioni armate contro le forze militari di un governo ritenuto ingiusto, oppressivo ecc.
Secondo un’interpretazione che possiamo definire mediana, risultano essere azioni terroristiche quelle compiute durante l’assenza di una guerra sia contro civili, che militari contro i civili durante un qualsivoglia conflitto. In questo caso una minoranza non ha il diritto di compiere azioni armate contro un governo ritenuto ingiusto, ma può durante un conflitto, parteggiare attraverso omicidi, attentati, azioni armate, sebbene non in divisa e non inquadrata in un esercito implicato nel conflitto.
L’interpretazione estensiva dell’azione terroristica ascrive ad essa tutte quelle operazioni armate, compiute contro civili e militari in tempo di pace come in tempo di guerra da chiunque non indossi una divisa e non faccia parte di un esercito regolare. Secondo questa interpretazione solamente gli eserciti regolari hanno il diritto di compiere azioni armate.
Queste poche righe, e queste pur sommarie definizioni ci fanno capire molto bene come l’epiteto di terrorista non abbia un significato univoco e che esso venga applicato onde delegittimare l’avversario politico, militare nazionale di turno.

 

Note :
1) Il diritto all’ azione armata contro un occupante è prevista anche, sebbene debba sottostare a determinate condizioni, anche dall’ONU.
2) Valga per tutti la visione anarchica-nichilista dell’azione armata per la quale è legittimo anche il colpire civili in modo indiscriminato o la visione marxista del terrorismo ove citando Lenin si arriva ad affermare che “l’uccisione del nemico di classe è il più grande atto di umanità”. I brigatisti rossi presenti in carcere rivendicheranno con queste parole di Lenin l’assassinio di Aldo Moro.