di Paolo Rada

A bocce ferme, dopo che, quanto meno apparentemente, la situazione in Iran sembra essere rientrata nella normalità, possiamo ipotizzare alcune spiegazioni in merito ai fatti avvenuti. Incominciamo, dunque, dal capire ciò che è effettivamente accaduto nella nazione persiana. Circa due settimane fa proteste nate in virtù del problema della disoccupazione giovanile, dei salari molto basi per quanto riguarda i lavoratori più umili, del  rincaro dei beni di prima necessità e del fatto che, come in molte altre nazioni non europee non esiste in Iran uno stato sociale paragonabile a quelle delle socialdemocrazie nordiche o di certe regioni dell’Italia, sono degenerate in aperti scontri con le forze dell’ordine, in saccheggi, devastazioni, assalti a caserme di polizia e forme varie di teppismo urbano, forme che en passant sono presenti in quasi tutti i fine settimana in molte periferie degradate dell’ Europa o del Nord America. Nella sola Parigi l’ultima notte del 2017 ha visto bruciare 1053 macchine e circa 500 individui sono stati arrestati dalle forze dell’ordine.

La prima cosa che dovremmo riuscire a capire è se le proteste sono nate spontaneamente o meno : personalmente non crediamo che nulla avvenga spontaneamente, ed in effetti pare che dietro le proteste in Iran ci fossero ambienti del conservatorismo laico, legati all’ex presidente Ahmadinejad. Le proteste avevano una loro reale ragion d’essere, la situazione economica non è idilliaca nonostante l’Iran sia una nazione ricchissima di materie prime : gas e petrolio su tutti… Ma al di là di chi le ha organizzate e che per qualche giorno ebbero un carattere sia pacifico che di protesta non contro il sistema ma di critica al sistema,  quello che importa rilevare  è il fatto che dal terzo giorno circa, le proteste, le dimostrazioni hanno assunto un carattere violento e di aperta contrapposizione alla Repubblica Islamica. Si sono sentiti slogan in favore dello Shà e addirittura  sono state dati alle fiamme alcuni luoghi di culto oltre che varie effigi della guida suprema Ayatollah Khamenei.

La cosa che, secondo noi deve essere presa  in considerazione, è il fatto che soprattutto gli avvenimenti violenti non hanno caratterizzato principalmente le grandi città (Tehran e Mashad), ma più che altro cittadine medie e  piccole, molto spesso situate nelle zone di frontiera. Questo, insieme al fatto della prudenza europea e saudita nel cavalcare le proteste stesse, ci induce a pensare che chi ha organizzato le sommosse non avesse l’intenzione di scatenare una “rivoluzione colorata” sullo stile di quanto avvenuto in Siria, in Tunisia, in Libia o in Egitto, ma avesse invece l’intenzione  sia di verificare la tenuta delle forze dell’ordine iraniane, la presenza reale, armata, militare dello stato nelle cittadine oggetto della sommossa e dall’altro capire quanta forza avessero i propri agenti controrivoluzionari, iraniani, in sonno, all’interno della nazione stessa …

Noi pensiamo che non vi sia stata in questa occasione l’opera manifestata di agenti esteri, ma invece di iraniani oppositori della Repubblica che hanno tentato di sfruttare, naturalmente  in complicità con soggetti esteri, senza però che questi ultimi intervenissero direttamente con i loro agenti, legittime sebbene non legali non autorizzate, proteste inerenti a determinate questioni economiche.

Tentare di dare un indirizzo politico a questi iraniani terroristi in sonno è abbastanza arduo, anche se andando per esclusione saremmo tentati di vedere la mano di ex membri del disciolto Partito Comunista Tudeh, tutt’ ora illegale in Iran e membri del gruppo (i mujahedin-e Khalq) che, è forse il principale strumento terroristico contro la Repubblica islamica formato da iraniani e che anch’ esso è fortemente impregnato di ideologia marxista ed anti islamica.

Crediamo che, in vista, della mai sopita idea, di sovvertire le istituzioni della Repubblica Islamica, gli Stati Uniti abbiano cercato di capire attraverso queste sommosse il grado di affidabilità dei loro agenti iraniani, di quanta forza militare e popolare avessero. Per capirci meglio : se l’assalto alle stazioni di polizia avesse avuto un esito positivo ed i terroristi avessero preso possesso delle stesse, distribuendo armi ai dimostranti, con magari il consenso dei poliziotti stessi, ciò avrebbe significato da un lato una debolezza intrinseca dello stato iraniano nelle zone periferiche del paese, dall’ altro un grande valore militare, tecnico ed operativo  degli iraniani armati contro lo stato islamico. E’ normale che, nel momento in cui, gli Stati Uniti, ipotizzino, studino, elaborino un piano di attacco all’ Iran, cerchino di capire sul campo la forza dello stato iraniano e la forza dei propri agenti.

Da qui anche le parole del Presidente statunitense Trump rivolte ai rivoltosi di tornare in sonno, di aspettare (ci ricorda le parole del generale inglese Alexander  rivolte ai propri agenti, ai partigiani nell’autunno del’44) quando la situazione fosse più propizia … Ciò, secondo noi, significa che gli Stati Uniti non possono contare pienamente sulla forza militate dei loro agenti iraniani,  ma che dovranno in caso di attuazione dei loro piani di attacco inviare commandos dall’estero onde sabotare, attaccare istituzioni militari e governative in Iran. L’altra nota importante è che se alla protesta si da un tono laico e antislamico essa non avrà nessun seguito polare : sono veramente pochi gli iraniani che sono contro la religione, e contro l’Islam.  Magari sono contro lo stato islamico, le istituzioni islamiche, non sono praticanti, ma non si pongono in contrapposizione ideologica alla religione.

Il bruciare luoghi di culto, insieme alla bandiera iraniana dove vi è raffigurato il nome Allah più che una mossa sbagliata da parte degli oppositori è stato un tentativo, una prova per vedere, per capire la reazione del popolo, per capire quanto il popolo si senta legato, al di là dei dati ufficiali, alla propria religione.

La partita  lo sappiamo è solo rinviata: per sovvertire la Repubblica Islamica servono ben altri agenti sul campo e un ben altro, superiore seguito polare che i membri delle varie organizzazioni laiche, utilizzate dai nemici della repubblica Islamica non hanno.